MADAME SAUVY


Non so di preciso com’è nata questa idea di scrivere un
libro sulla mia esperienza vissuta a Gourly. Avrei voluto
dimenticare presto e tutto, e riposarmi durante il periodo trascorso
qui all’Eremo di Glorenzia, per prepararmi al nuovo
incarico che i superiori mi avrebbero poi affidato, per ricominciare
a servire il Signore in qualche parrocchia della
nostra Diocesi... Mi ritrovo qui, invece, in queste giornate, a
mettere per iscritto l’esperienza vissuta, addirittura con l’intenzione
di pubblicarla, di renderla nota a tutti quanti; pare
impossibile anche a me, ma è proprio così!
C’è qualcosa che è più forte di tutto quanto, dentro di me,
che mi porta ad esprimere e a non reprimere, a manifestare
e a non nascondere, a dire e a non tacere, a portare fuori da
me ciò che vorrei tenere dentro, celato come un mistero. Ma
fosse solo questo il problema, sarebbe ben poca cosa. Il fatto
è che nelle pagine che mi si creano sotto gli occhi, leggo una
situazione imbarazzante: scrivo di me e degli altri in un
modo troppo chiaro, troppo coinvolgente, senza nascondere
proprio più niente, nemmeno ciò che il buon senso e il senso
del limite mi porterebbero a non esprimere. E così appare
tutto chiaro, tutto quanto di me e degli altri che sono coinvolti,
che fanno parte dell’esperienza di Gourly; tutto è troppo
chiaro, oltre la logica del buon senso. E mentre scrivo
compaiono anche i primi timori e le prime remore, alle quali
dovrei dare ascolto: non dire quello che è stato, perché vi
sono cose sbagliate; peccati che, esposti in pubblico, finirebbero
per rovinare me stesso e gli altri. C’è poi il fatto che
sono un prete, e non posso permettermi di rovinare la Chiesa
pubblicando questa mia esperienza che va a scapito mio, dei
preti, delle persone, di tante persone!... Penso al fatto che sto
facendo un grande errore!. Già ne ho fatti prima, ma ora il
renderli pubblici significa proprio essere matto!. Ma non mi
accorgo, infine, nemmeno che sto rovinando il mio futuro?!...
Sono in attesa di una nuova destinazione; questione di
tempo: dopo il periodo di riposo qui, i superiori mi assegneranno
una nuova realtà; ma se arriva a loro anche solo il sentore
di ciò che c’è in questi fogli, addio!
Chissà dove finirò! Sono finito!. Ma, nonostante tutti
questi miei ragionamenti che per un po’ mi hanno trattenuto,
a vincere è stata ancora una forza positiva, che dentro di me
assicura che tutto avrà un fine buono, al di là dei momenti di
contrarietà che potrei incontrare, non solo attorno a me, ma
anche dentro di me, da parte della mia stessa ragione, che
anche adesso mi sta dicendo di lasciar perdere tutto quanto.
A guidare le cose ora però non è lei, la ragione, ma soprattutto
è una realtà misteriosa, che sento e non vedo, che mi
porta a tutto questo, ben sapendo che ciò che sto facendo è
illogico e pericoloso, molto rischioso ed estremamente compromettente.
E questa realtà misteriosa non è il cuore, l’emozione,...
no. Certo, anche il cuore vi viene coinvolto, fino in
fondo; ma non è lui a condurre, nemmeno lui.
Le emozioni del cuore, qui, si sono quietate e non mi trascinano
più con veemenza come laggiù, a Gourly. Qui,
l’amore non è più cieco e potente in se stesso, ma viene
vagliato e saggiato, ogni giorno, dalla nuova situazione di
serenità dello spirito che mi si presenta come occasione per
una vita rinnovata.
C’è qualcosa di positivo a condurre tutta l’esperienza:
una realtà indefinibile e sperimentabile che potrei accennare
solo così: il fatto di essere sempre più me stesso. E questa
realtà supera ogni ostacolo, fosse anche la più grande paura
e il rischio più azzardato; perché, al di là di tutto quanto,
vede sempre e soprattutto il bene.
E così, in tutto questo azzardarsi a procedere, io considero
che tutto quanto sta orientandosi al bene, anche là dove,
secondo la ragione, ciò non appare. Un illuso? ...Che sia una
mia illusione? ...Può darsi. Ma senza queste illusioni io non
posso più vivere ora, e senza di esse io non sarei più io. E se
fosse tutto un errore ciò che sto compiendo? ...Spesso ci
penso; ma la risposta, da sempre, fino ad oggi, è solo questa:
“Se il nostro è un errore, sei Tu, Signore, che ci hai ingannati”.
Già, ecco il colmo di questa illogicità della vicenda:
tutto, a poco a poco, me sempre più profondamente, si va
riferendo all’esperienza di fede; e anche lo scrivere queste
pagine mi appare come un dono di fede, di Lui che, entrando
nella mia vita, compone e porta tutto a compimento
secondo i suoi piani.
Sentire che in queste pazzie c’è dentro Dio sempre più
intensamente, mi fa venire la pelle d’oca. Ma non è altrimenti:
è proprio così per me: ciò che sto scrivendo è considerato
da me dono suo, roba sua, vissuta attraverso di me e attraverso
le persone che vi sono coinvolte. Non mi sembra vero,
ma è proprio così: Dio si avvicina a me in questi giorni, e da
questo nostro incontro sta sgorgando questo scritto. Lo so, è
un’eresia quella che sto affermando, ma non posso proprio
distanziarmi da essa; sono un eretico? Un pazzo? Entrambi
e forse più? ...Intanto, lo scritto procede e il libro si va costituendo,
e il desiderio di manifestarlo con una pubblicazione
si va radicando sempre più in me.
La via dell’assurdo, del rischio, della pazzia e dell’oltre
ogni logica è ormai intrapresa; sarò ancora in tempo, poi, a
fermarmi?. Un romanzo: ecco lo stile del libro; breve, chiaro,
e dove il primo a compromettersi sono io, con la mia
vicenda di rapporti con un parroco che, pur apparendo come
il nero della situazione, alla fine si evidenzia sempre più
come bianco, come strumento della grazia; e così, in parallelo,
ecco descritta, fin nella profondità, l’esperienza con
‘lei’, che, apparendo all’inizio come il negativo nella mia
vita di sacerdote, si rivela essere lo strumento scelto da Dio
per far giungere la sua grazia ad un prete in piena crisi...

Giovedì 15 marzo, ore 14, sagrato della Chiesa di Cloudy.
Sono qui in attesa di lei: la signora Sauvy, la madre di quella
‘lei’ che è stata l’occasione che ha permesso a Dio di raggiungermi
e di recuperarmi sulle sue strade; quella ‘lei’ che
anche ora, più che mai, amo profondamente e stimo intensamente...
e proprio questo voglio dire a sua madre!. Certo, a
ben pensarci, sono proprio matto: andare a dire tutto quanto
a sua madre, che magari non ci pensa minimamente a queste
cose, col rischio di compromettere tutto ciò che già era,
finora, solo in parte compromesso!
Ma non posso tacere; non posso evitare di dire a sua
madre come stanno le cose, non posso tenergliele nascoste,
a questo punto. Pensavo che tutto potesse finire, andandomene
via da Gourly; invece, tutto quanto resta; e ora, in più,
anche la storia del libro, già... E come non dirglielo?. Certo,
potrei, come ho fatto finora, tenere tutto quanto nel nascondimento;
ma le realtà ora sono troppo profonde e si stanno
anche manifestando; non posso non parlargliene, di ciò che
è stato e di ciò che c’è ancora, e di ciò che sto per fare: il
libro. Ore 14.20: l’attesa si fa da trepidante, adesso, anche un
po’ timorosa; e come potrebbe non esserlo? Andare a dire
queste cose a sua madre!... Già immagino la risposta della
figlia alla domanda della madre: ma no, mamma! Non c’è
stato mai niente e non ci può essere niente tra me e il don...
solo amicizia!... Già... e la madre potrebbe crederle?. Non
posso non dire tutto ora, anche se finora tutto è stato tenuto
nascosto; anche se posso pensare la reazione di questa
madre, che potrebbe affibiarmi qualche sberla come minimo,
mentre cercherò di spiegarle ciò che ancora per me
risulta inspiegabile e quasi una sorpresa, come un mistero
che... Ecco, scoccano le 14.30 dal campanile.... Verrà?... Ora,
quasi quasi spero che non venga... Eccola, eccola!. Che faccio?.
Beh, anzitutto cerca di stare calmo e valle incontro...
“Salve, signora; e grazie di essere venuta!”.
“Eccomi, puntuale. Veramente, anche se al telefono lei mi
ha detto di non preoccuparmi, che non c’è nulla di grave,
sono un po’ agitata... Non riesco a capire di cosa voglia parlarmi,
riguardo a mia figlia. Ha combinato qualcosa?... S’è
messa in qualche pasticcio?”. “Le ripeto che non deve affatto
preoccuparsi; beh...dov’è che possiamo parlarne con
calma?... Forse laggiù in quel bar... Gradisce un caffè, nel
frattempo?”. “Glielo offro io, quello, non si preoccupi. Sì...
laggiù va bene, parleremo con calma e certo senza questa
apprensione”. Il locale era quasi deserto, e l’atmosfera tranquilla.
Ci sedemmo a un tavolino, e ordinammo il caffè;
dopo solo qualche istante la cameriera interruppe quello
che con cura mi stavo accingendo a dire, e che mi ero ben
preparato nella mente in quegli attimi. “Scusate se vi interrompo;
ecco il caffè”. “Grazie” disse cortesemente
Madame Sauvy porgendole il denaro già contato, mentre io
mi imbastivo un nuovo modo per riprendere il discorso.
“Dunque, mi dica” mi fece lei, atteggiandosi in attento
ascolto del mio dire, facendomi capire che quello che io le
avrei detto sarebbe stato considerato da lei importante, qualunque
cosa fosse stata. Animato da quel suo atteggiamento,
e incoraggiato da quella disponibilità alle mie rivelazioni, la
fissai negli occhi, in quegli occhi nei quali mi sembrava
quasi di scorgere l’anima di sua figlia: “Sinceramente,
signora, mi dica: lei non ha proprio mai notato che tra me e
sua figlia c’è stato un rapporto profondo in quest’ultimo
periodo?”.
Attesi per qualche istante la risposta, e ciò mi portò a pensare
che Madame Sauvy sapesse già tutto di noi e lo nascondesse
in sé; o che, anche lei come me, stesse ora cercando
parole adeguate da dire. Ma la prima ipotesi mi parve la più
possibile; comunque, lei mi rispose così: “Beh...veramente
ho notato che ultimamente si era presa molta confidenza con
lei; però questo non mi ha mai fatto pensare male. Conosco
bene mia figlia, e so che è anche molto emotiva, ed affettuosa
verso chi considera come un amico”. “Tra noi due c’è
stata più di una amicizia, signora. Niente di grave, non si
preoccupi...Ma vorrei dirle chiaramente che io sua figlia...
sì... le voglio molto bene; e il nostro rapporto è stato, anzi, è
ancora un amore”. A questo punto fissai meglio quegli occhi
che mi sembrava sempre più di riconoscere, e scorsi in essi
solo l’invito a proseguire; continuai, con più calma, e cercando
di dosare bene le parole, scegliendole con cura: “Sì, è
così. Sua figlia, con la sua profonda amicizia, mi ha permesso
di uscire dalla mia crisi, nella quale rischiavo di soffocare,
perdendo il mio sacerdozio, e soprattutto me stesso.
Posso affermare che mi ha salvato la vita. E per questo le
voglio bene. Sì. E se sono andato via da Gourly, me ne sono
andato per lei: non però a causa sua, ma per suo merito: è
stata proprio lei che mi ha messo in grado di fare questa scelta
di soluzione per me e per tutta quanta la situazione... E io,
signora, sua figlia la amo ancora, profondamente, anche
ora... mi capisce?”. Ora quegli occhi erano lucidi; Madame
Sauvy tratteneva a stento le lacrime; ma ci riusciva, e non
voleva mostrare tutta la commozione che stava per pervaderla.
E io, che ero timoroso che quelle mie parole ella si infuriasse
e fraintendesse, a quella reazione così inaspettata mi
sentii alquanto rincuorato.
“Non mi aspettavo certo di sentirmi dire queste cose da
lei... – disse con estrema dolcezza Madame Sauvy – Di tutto
mi sarei attesa, ma non queste parole. Ma se è vero ciò che
lei mi sa dicendo, se veramente mia figlia ha contribuito a
questa sua rinascita e a questa salvezza dalla crisi, sono fiera
di avere una figlia così; e devo ringraziare ora anche lei, che
mi ha detto con tutta sincerità questa situazione. Certo, ne
parlerò a mia figlia, e sarà un’occasione per accrescere quel
rapporto di amicizia che esiste già tra noi due. E se queste
cose mia figlia non me le ha dette, certo la capisco: certamente,
fino in fondo, non sa neppure di essere stata così preziosa
per il suo sacerdozio. Mia figlia mi ha sempre parlato
di lei come di un amico, una presenza che la rendeva gioiosa,
e che lei sempre desiderava; ma certo non si è resa conto
di questo suo provvidenziale intervento, nella sua vita di
prete in crisi. Comunque, grazie per avermi detto tutto questo”.
Questo ringraziamento mi suonò alquanto stonato:
come?!... Io che mi attendevo il rimprovero, ora addirittura
stavo per essere ringraziato!. No... forse non mi ero spiegato
bene; o forse, lei aveva inteso altre cose. Come poteva
giungere a dirmi addirittura così? Ringraziarmi? Com’era
possibile?. No... non potevo lasciare che le cose rimanessero
nel vago e non venissero intese fino in fondo da Madame
Sauvy; dovevo a tutti i costi farle capire che la realtà che le
stavo presentando era più grave di quello che lei pensava...
E se invece fingesse di non capirne la gravità?. Forse ne
capiva la gravità, ma stava dando poco adito alle cose che io
le dicevo; forse perché riteneva che tutto ora fosse ormai
finito, o si acquietava con il mio essere andato via da
Gourly... e quindi, per quanto fossero profonde le cose che
erano state, ora non lo erano certo più come prima; che stesse
pensando così?. Ma io le ho detto chiaro che amo sua
figlia, e anche ora!. Mentre in quello spazio di silenzio ci stavamo
entrambi sorbendo il caffè ormai freddo, io cercai il
modo per farmi capire meglio.
Già...forse ero proprio io che non mi ero spiegato abbastanza
chiaramente, lasciando adito a una interpretazione
superficiale delle cose che dicevo. Dal fondo della tazzina
del caffè, il mio sguardo si sollevò di nuovo agli occhi arrossati
di Madame Sauvy; e tentai allora di spiegarmi meglio,
tirando il ballo la storia del libro: “Ma lo sa, signora, che per
me queste realtà sono tanto belle e importanti da scrivere
addirittura un libro?... Già, proprio così! Sto scrivendo un
libro sulle mie vicende trascorse a Gourly; e in esso compaiono
anche le lettere che ci siamo scambiati io e sua figlia:
proprio le sue parole, pensi!. Per me questo è un ringraziamento
a sua figlia, e una testimonianza per tutti di come una
vicenda, destinata a fallire, venga salvata in un modo così
assurdo, ma tanto bello. Mi capisce? Tirerò in ballo anche
sua figlia... certo, senza farne il nome esplicitamente; ma chi
sa, capirà bene che è lei!. E parlerò anche della mia esperienza
con Padre Noir: delle mie difficoltà a vivere il rapporto
con lui; delle mie crisi sempre più profonde nelle quali mi
sono venuto a trovare. Parlerò in modo chiaro del rapporto
con sua figlia, signora; di come, inserendosi nella mia vita,
questa ragazza, invece di rovinare tutto, ha salvato tutto
quanto, inconsapevolmente”.
Mi ero animato alquanto, e ci avevo messo tutto il mio
animo in quelle parole, sperando così di trasmettere a quella
mamma che mi stava di fronte, la necessità di fare qualcosa,
di intervenire, di... Ma vedevo che Madame Sauvy, di fronte
al mio parlare, non trovava altro che un senso di sollievo
e di serenità; mentre io discorrevo, col suo sguardo pareva
mi dicesse con dolcezza: capisco, sì, non preoccuparti. E
così, capivo che non riuscivo affatto a farmi capire. Forse
allora, dietro la spinta dell’esperienza positiva che stavo
vivendo, rivestivo di essa tutti gli avvenimenti, rendendoli
meno oggettivi e sempre più relativi alla mia esperienza...?
Con Madame Sauvy capivo, a questo punto, che ogni parola
sarebbe stata superflua e inutile; certo, la mia sorpresa di
fronte alla sua reazione in questo incontro era enorme. E
mentre ancora, dentro di me, mi chiedevo come tutto questo
potesse essere possibile nella realtà, e non fosse invece solo
un sogno, lei a un tratto si rivolse a me, sorridente: “Lo leggerò
volentieri questo suo libro, allora. Quando lo pubblicherà?
Sono proprio curiosa di leggerlo!”.
“Beh... ora sto scrivendo ancora le bozze; penso comunque
che sia questione di poco tempo. Il più sarà la stampa...”
e intanto mi accorsi di essere a questo punto uscito dalle cose
importanti del discorso, alle quali tenevo veramente, e di
essere entrato nell’ambito delle cose più generiche e meno
personali, senza più la possibilità di recuperare la profondità
del discorso: quello del mio rapporto tra me e sua figlia.
Ormai, questo era un discorso chiuso in quel momento... Ed
infatti, continuammo a parlare del più e del meno, in modo
sempre più vago ed impersonale; e di Padre Noir, del suo
carattere e del suo stile di fare il parroco... di come mi trovavo
io ora in quel nuovo ambiente, lassù, all’Eremo di
Glorenzia,... di dove si trovava con esattezza quella località,...
Finchè, ci salutammo con una cordiale stretta di mano, e con
un arrivederci a una raccomandazione da parte sua: “Cerchi
di recuperare la sua serenità, ora; e auguri!”.
“Grazie” le risposi io, abbozzando il sorriso, ma con un
po’ di amaro in bocca, per non essere riuscito a risolvere
nulla in quell’incontro. Nulla di concreto... Ma d’altronde, a
parte una possibile sua sfuriata, che altro mi attendevo da
lei? Che mi risolvesse qualcosa? Che mi consigliasse? Che
facesse tornare le cose come prima? Che sopportasse quelle
di adesso? No... no di certo... nulla di tutto questo.
Mentre ora me ne ritornavo lassù, all’Eremo, la mia
mente spaziava nel futuro, immaginando conseguenze
assurde ed imprevedibili, generando ipotesi che la fantasia
arricchiva di particolari, prefigurando ciò che speravo avvenisse,
e preparandomi al peggio; sognando, infine, il meglio
dell’esito della mia vicenda... Finchè gettai via tutti questi
pensieri, ritenendoli soltanto i sogni di un illuso. Ripensai
ancora all’incontro: che cosa volevo dire a Madame Sauvy?.
Tutto: cioè la verità. E gliel’avevo detta... sì! Ma certo!.
Anche senza ottenere nulla di concreto, anche se tutto sarebbe
continuato nel mistero e nella sorpresa, nell’imprevedibilità,
lo scopo dell’incontro l’avevo ottenuto: dirle la verità!...
Eccolo, il mio Eremo!...
Ora sono di nuovo qui, a condurre tutta quanta la vicenda,
senza aver ottenuto nulla di fatto; soltanto consapevole di
aver comunicato ciò che dovevo a lei, a Madame Sauvy, alla
quale era giusto e necessario riferire tutto quanto di me e di
sua figlia, e di ciò che sta avvenendo...Tornai al lavoro, a
comporre quegli scritti assurdi; ora però con meno apprensione e con più serenità...
grazie a Madame Sauvy.