...E LA SUA RIVELAZIONE

Ed eccolo lì, ora, il nostro ‘don’, aggrappato al filo

della vita, in attesa della morte; a poco a poco il male,

avanzando su di lui, sta prendendo il totale sopravvento: il

tumore, nonostante il tentativo con l’operazione, si è sparso

in metastasi in tutto il corpo e ora si è propagato anche

là, allo stomaco, dove sembrava non essere ancora giunto.

E più in su, quel tumore, partendo dalla cassa toracica, ha

raggiunto le corde vocali, rendendo ormai impossibile

ogni suono di voce; soltanto il respiro sembra rimanere, a

tenere in vita, ancora per poco, quel corpo martoriato.

Il dolore, che penetra e sconvolge, non riesce più a far

muovere gli arti inferiori: tutto è paralizzato, dalla cinta in

giù; alimentarsi e scaricarsi attraverso le flebo e i cateteri,

ormai, è il passaggio sempre più breve, che pare accompagnare

il tempo che resta per raggiungere la morte ormai

prossima. Quel corpo, abituato all’avventura, ora eccolo

lì, nella monotonia di qualche gesto delle braccia e nelle

solite smorfie del dolore repentino e divoratore, e destinato

ad essere null’altro che un mucchio di cenere...

La madre accanto ad esso, a quel corpo, a renderlo con

la sua presenza ancora umano, e a tenerlo ancora come suo

figlio, che ormai è sul gradino ultimo dell’accesso al silenzio

totale, all’annientamento. Quella madre che ogni mortale

si desidera accanto, nel momento del dolore e delle

prove; quella mamma invocata nel cielo e attesa accanto,

nel frattempo, sulla terra. E questa madre, la mamma del

‘don’, eccola lì, ora, premurosa, ancora a chinarsi a tergergli

il sudore della fronte bagnata dalla febbre del dolore;

eccola attingere all’acqua con un fazzoletto, e bagnare

quelle labbra bruciate dal fuoco della sofferenza che, da

dentro, rende sempre più arida la speranza e rinsecchito il

respiro. Ecco lì ora quest’anima ormai spogliata da tutto

quanto: da ogni realtà, da ogni messaggio, da ogni speranza

e da ogni fede: è difficile anche credere, e sempre più

difficile sperare, per lui, per quel ‘don’ che a Dio ha offerto

la sua vita, e che ora gli è tutta quanta richiesta.

Ed eccolo, lui, il ‘don’, rivolgere quegli occhi tremanti,

che sembravo quelli di un bimbo intimorito dal buio...

accecato dalla notte e dal buio dell’anima; dove ciò che

rimane, e a cui aggrapparsi, non c’è più... nulla!. Ora che

tutto quanto cade, compreso ciò che dava un senso anche

a lui, anche lui, il sacerdote di Dio, si sente cadere e travolgere

con il volto nella sabbia del deserto... il deserto

dell’anima...la morte.

Entrando in questa atmosfera di dolore e di mortale rassegnazione,

il medico parla alla madre: “Signora – dice

sottovoce, mentre lui, il ‘don’, che comprende, ma non

reagisce, ascolta – ormai è questione di qualche giorno...

Fra poco resteranno solo le forze per morire; lei cerchi

intanto di farsi forza, faccia capire a suo figlio che gli è

vicina soprattutto attraverso il tatto: con la mano: tenendogli

la sua, o sulla fronte... Solo così, ora, gli può far percepire

la sua presenza: non sappiamo se lui capisce...”. E il

‘don’ vorrebbe dire di sì, ma l’unica cosa che può fare,

svincolandosi un poco da quei condotti gli portano l’ultimo

sollievo, è di distendere la mano e muovere appena

appena le dita, per far capire che capisce.

La mamma, pronta e attenta, gli si accosta, con gli

occhi lucidi, tenendogli stretta quella mano, e scrutando

negli occhi del figlio un segno di vita. E ogni volta che,

per un motivo o per l’altro, lo deve lasciare – anche soltanto

per un attimo – quella mamma, con la sua fede che

ancora trionfa, pone nella mano del figlio Colui che è la

speranza e che sta condividendo tutto quanto: il

Crocifisso. E così il ‘don’ si sente vicino a Colui che gli si

è fatto vicino in quei momenti del suo calvario.

La sera, i famigliari si ritrovano attorno a quel lume di

vita che ancora resiste, chissà ancora per quanto, rinnovando

la speranza cristiana attraverso la preghiera fatta

insieme; il ‘don’, dal suo letto, segue con il tremolio delle

labbra la mesta orazione: “Signore, aiutalo, in questi

momenti, a non disperare di Te; e aiuta noi a vivere questa

prova con la fede dei discepoli, come Tu ci vuoi; per

Cristo nostro Signore. Amen”.

E poi tutto tace, in quel clima della notte che allude alla

morte anticipata. Ora, lo hanno portato a casa, al paese dei

genitori, dei nonni e dei parenti; ormai, in Clinica, non

c’era proprio più nulla che potesse essere fatto per lui; e

poi, morire alla propria casa è il desiderio di tutti, inconsciamente...

Questa casa che gli è possibile a malapena

vedere; nella quale egli ora ritorna per ricrescere a nuova

vita – come spesso ha predicato agli altri – in una nuova

realtà. “...Senti?... Mi capisci? – disse la mamma al suo

‘don’, chinata sul suo orecchio e prendendogli delicatamente

la mano – Ascoltami!... C’è qui a trovarti una persona...

sì... c’è qui ‘lei’...”.

A quell’ultima parola, la madre sentì vibrare, attraverso

la mano che teneva, un fremito di emozione, quasi un

risveglio... Aveva capito, sì!

Il ‘don’ era riuscito, al sentire di ‘lei’, a raccogliere di

nuovo le sue capacità di comprensione, a risvegliarle... Sì:

‘lei’ era lì, anche se lui ancora non la vedeva... e con gli

occhi spalancati cercava attorno, ma non la trovava.

La mamma gli disse: “Hai capito bene; e adesso ti

lascio qui, per un momento, con lei... Ti vuole parlare...Io

torno più tardi” e gli mise in mano, come ogni volta che lo

aveva dovuto lasciare, quel Crocifisso. ‘Lei’,... la sua

vita!... Eccola apparire ora lì, di fronte ai suoi occhi, che

adesso risplendevano in quelli di ‘lei’. Si fissarono per un

po’in quel silenzio rotto soltanto dai sospiri di lei, e dagli

affannosi respiri di lui. Si erano ritrovati...‘lei’ e lui...

‘Lei’, la vita di lui.

Gli si era seduta accanto, sulla sedia della mamma; e lì,

osservandosi, in quella meravigliosa contemplazione tra

lui, che da risorto stava morendo, e ‘lei’, che considerata

morta ora stava risorgendo...nei ricordi, negli affetti, negli

afflati di un sacerdote soffocato dalla morsa di quella

croce che egli stringeva nella mano, e che essa lui stringeva

tra le sue morse.

Nella sua immaginazione, lui l’avrebbe sempre vista

più bella che mai, questa ‘lei’; ma ora, lì di fronte, le pareva

proprio il paradiso, e di aver ereditato tutt’a un tratto,

inaspettatamente, l’impossibile. La fatica del cuore, che

ora gli pulsava sempre più lentamente, veniva ripagata da

quella visione; e la smorfia del dolore di lui si rispecchiava

nel sorriso naturale di ‘lei’, trasformandosi. Tutte quelle

parole che da tempo preparate a quell’impossibile evento

avrebbero potute essere predisposte, ora qui cadevano,

una dopo l’altra, di fronte a quel silenzio dell’amore che

parlava, più eloquente di ogni altra forma di convincimento,

e più profondo di ogni tipo di dialogo.

Era proprio come la prima volta: quando ci si era scambiati

quell’intuizione divina, eterna, assaporata semplicemente

con la lingua sulle labbra; ora, era come il ritorno a

quell’inizio, a quella creazione dell’amore attraverso il

destino; era la ricreazione di tutto; e proprio ora, mentre

l’evidenza affermava che tutto quanto stava per finire.

Si trasmettevano così la vita dell’anima... mentre per

lui la vita del corpo si stava esaurendo; in quel gesto silenzioso

si riaffermava vincente il grido dell’alleluia, su quello

dell’acuta disperazione e della cupa paura; e la morta,

fattasi da parte, pareva inchinarsi a quel miracolo affascinante

e tremendo anche per essa, e dinnanzi al quale non

poteva far altro che non resistere e tacere.

L’amore... il tacere della morte... il parlare del silenzio...

Ciò che avveniva in quegli attimi non era soltanto il

riassunto di tutte le attese del passato e il ripagamento di

tutte le lontananze e le privazioni, ma era anche il varcare

la soglia del futuro, entrando nell’atmosfera dell’impossibile

e respirando di essa.

Attraverso quegli occhi che si contemplavano a vicenda,

appariva ciò che vi era oltre tutto quanto il buio, al di

là dei confini della tenebra; attraverso quei corpi collegati

con la mano, si concentrava lì l’unità dello spirito, si evidenziava

il punto d’incontro di ogni intento di bene e di

ogni forma di serenità. Quando la mamma del ‘don’ rientrò,

li trovò lì, con la mano di lui nella mano di ‘lei’, e

stretto tra le loro mani il Crocifisso, a indicare la fine della

speranza e la speranza nella fine...

“Ciao, sono io, l’avrai già capito... E ti prego, per favore:

non gettare via subito questi fogli... Ti chiedo solo di

leggerli, prima. Mi sono deciso a farmi sentire da te. Sì,

avrei potuto e dovuto forse tacere; ma ciò che c’è dentro

di me e che è più grande di me, mi impone di parlarti, ora.

È quella realtà che dentro di me esiste, sempre più profondamente,

da quella prima volta che ci siamo incontrati:

quella realtà che non so se tu conosci ancora, o se non hai

più in te. Tu me l’hai trasmessa, questa realtà immensa:

allora, senza rendertene conto; ora, non saprei se tu è

diventata evidente. Se è cresciuta, anche per te, dentro, nel

profondo, facendo continuare tutto, nonostante la lontananza

tra noi e lo sbiadirsi dei ricordi.

Per me è stato così: la mia vita è stata un progressivo

respirare , in modo sempre più profondo, di te... e attraverso

di te, di quella realtà misteriosa, ma efficace, e tanto

efficace da farmi superare ogni ostacolo nella vita, per

vivere di essa; ed ora, infrangendo quel muro del silenzio

che la morte mi sta costruendo attorno, mi invita a mandarti

queste parole. Non so di preciso che significato abbia

questo mio farmi sentire, ora, di fronte al mio esaurirmi e

finire, a poco a poco, stretto fra un tumore, una paralisi e

le loro complicazioni e conseguenze; ma nonostante tutto

questo che mi frena, c’è stato qualcosa che ha superato

ogni barriera, dopo tutti questi anni, per giungere fino a te.

Ancora adesso ti percepisco come il mio respiro... che

si può anche dimenticare, forse, e per un po’, ma che non

puoi mai mandare via da te... Non so se tu mi stia a sentire,

in queste parole...e mai lo saprò; ma questo messaggio

va oltre me, oltre anche noi due, al di là anche della nostra

esperienza, lo sento.

Ma ha bisogno, questo messaggio, di passare attraverso

di essa, anche oggi. Ecco perchè mi rivolgo a te, richiamandoti

ciò che tu mi hai donato, allora come un inizio, e

che ancora oggi, dopo tutte le gioie e i travagli, continua

ad essere la realtà più importante per me. Se tu ora non

condividi più tutto questo... Ti chiedo soltanto di leggere

fino alla fine questi fogli, e poi gettali.

Lo so che ti sto proponendo ora delle assurdità e un

salto nell’impossibile, oltre ogni logica sensata e ragionevole;

ma ciò che mi spinge a farlo è ancora, e sempre più,

quella realtà della quale tu, attraverso il tuo esserne strumento,

mi hai fatto dono.

Un tempo, l’avrei chiamato il destino; oggi, pur chiamandolo

ancora così, ne scopro il fascino e la bellezza, ai

quali non so resistere, proprio come non so resistere a te,

perchè le porti in te, queste caratteristiche, chiunque tu sia

diventata...anche se fossi ridotta a fare la prostituta... No:

quelle caratteristiche non le rinnegherei in te, nemmeno in

quel caso, perchè tu me le hai comunicate come eterne, e

come tali nessuno, nemmeno tu, può farle terminare e renderle

finite. I ricordi ormai sono passati... ma attraverso

quel passato riaffiora in me un presente sempre nuovo... e

di questo ti ringrazio.

Il messaggio che ora ti sto proponendo non è restato

dentro di me, ma è uscito da me; e attraverso varie traversie,

si è avventurato per il mondo; e sono anche le tue, le

vicende che di me ho scritto in quel libro e in quei manoscritti

che, nella clandestinità, passano ancora oggi da un

lettore a un altro, piano piano... ma procedono. Forse tu ne

avrai anche sentito parlare... Forse, li avrai anche letti... In

entrambi i casi, la proposta che ti sto facendo, e che richiede

ora una tua scelta, ha sempre lo stesso valore e la stessa

intensità. Questo mio scritto, che ti è stato recapitato da

mia madre, contiene, oltre a queste mie ultime parole che

ti volevo rivolgere personalmente, anche la ‘fine’: quella

fine che potrebbe trasformarsi in una continuazione.

Sì: è la finale del mio manoscritto, quest’ultimo, quello

che sto scrivendo proprio in questi giorni che mi avvicinano

alla morte; ed è l’ultimo capitolo.

Senza di esso, il manoscritto comunque avrebbe senso,

come la ‘fine’, come una vicenda che si chiude nel ‘segreto’

tra noi e nel mio io, nella mia morte. Ma se tu ora

aggiungerai a questo manoscritto la parte che ti ho allegata,

verrà tutto quanto trasformato, e con l’aggiunta da

parte tua dell’ultimo capitolo, e che soltanto tu puoi ora

unire al resto, apparirà anche la ‘rivelazione’ del segreto,

di quel segreto che è la nostra realtà che, secondo me,

dovrebbe continuare ad esserci, tra noi, anche oggi.

Allora, la fine apparirà il trionfo dell’amore, della

nostra esperienza, e attraverso questa, di quella realtà

misteriosa che tutto quanto ha diretto e ancora sta dirigendo,

in tutta quanta questa vicenda.

Con questa aggiunta – se tu la crederai opportuna e se

tu condividi quello che esiste tra noi - l’ultima parola non

sarà più la mia morte, ma la vita...di tutto quanto: di me,

di te, di noi, del messaggio; e la testimonianza che quella

realtà che sta dietro tutto non è finita e mortale, ma viva

ed eterna. So anche che ti sto chiedendo di esporti...

Pensaci... Fai con calma... E se riterrai opportuno, sappi

che distruggendo questi scritti che ti ho inviati, sarà ugualmente

un atto di amore per me, perchè io ti amo...

Sì, e ti amo come sei, non come ti vorrei; e non pretendo

da te ciò che tu non senti far parte della tua vita. Sì, ti

chiedo di essere te stessa... e so anche che lo farai: te stessa,

qualunque sia la tua decisione; proprio come hai fatto

sempre fin da quando ti ho conosciuta: le cose delle quali

sei convinta, le decisioni tue. Ti ringrazio per avermi

ascoltato ed accolto fin qui; anche se per te quella di un

tempo, tra noi, si è limitata ad essere una bella avventura

della vita, e che poi è stata da te dimenticata con il trascorrere

dei giorni e col mutare delle situazioni... Grazie

ugualmente, per non aver infranto le mie illusioni, lasciandole

finire, e fino in fondo, in te... Lasciandomi morire con

l’illusione di amarti... Permettendo che io potessi morire

in te, fonte della mia risurrezione.

So bene che anche ora sto rischiando di essere colui che

ti trasmette la morte... o la vita; ma ora, questo messaggio

ha proprio bisogno di te: se per te è un messaggio di

morte, che sia da te condannato e incenerito; se di vita, che

tu, attraverso la tua decisione, lo faccia continuare,

aggiungendo personalmente al capitolo che termina con il

messaggio della morte, quello che apre al messaggio della

vita, all’amore eterno, e che la nostra esperienza ha solo

toccato, perchè da noi ora possa essere indicato.

Sì: sei tu, con la tua scelta, qualunque essa sia, chiamata

ora ad essere colei che svelerà il mistero, il segreto

nascosto, destinato da te a essere messaggio.

Io, la mia parte l’ho fatta ormai, seguendo fino in fondo

questo folle agire di un destino più forte, che mi ha condotto

a scrivere in questo manoscritto il senso della vicenda.

Tu, puoi apporre al mio significato la chiusura e il

limite... oppure puoi anche orientare tutto a ciò che sta

‘oltre’... A ciò che nè io, nè tu conosciamo chiaramente...

Ma da questa realtà entrambi,nel frattempo, siamo stati

baciati. Ciao. Il tuo, per sempre, don”.