BIRGIT

“Senti... Ma che fine hanno fatto tutte le copie stampate...

Tremila?!” mi chiese Padre Pierrin. “Già – dissi con

calma, assaporando quel liquore di montagna molto buono

– tremila copie, con una spesa di parecchi milioni: tutte

quante al macero; con il mio permesso, naturalmente”.

Padre Pierrin mi osservò meravigliato.

“Eh, sì! – ripresi io – E ti chiederai dove ho trovato

tanti soldi... Ti dirò che me li sono trovati lì, in quei giorni,

a disposizione; direi quasi un destino che andava,

anche economicamente, a favore della decisione di pubblicare,

senza problemi: i soldi non mancavano per farlo.

E da dove sono sbucati?. Beh, allora la chiamavo

‘Provvidenza’, quando consideravo tutto quanto un aiuto

di Dio, compreso il libro. Ora ti dico ‘farina del Diavolo’:

me li ha fatti giungere lui, quei soldi, perché gli potessi

pubblicare quella roba!”. “Ma allora non ti hanno nemmeno

rimborsato nulla!” chiese lui.

“Rimborsarmi?...- e sorrisi – Chi sbaglia, paga, e stop.

Che vuoi, che mi dessero indietro il resto dei miei sbagli?”.

“Ma che cosa hanno condannato di queste cose che

hai scritte? Ti hanno detto che cosa c’era che non andava?”.

“Niente, condannato; e tutto: cioè il fatto di pubblicare

quelle cose. No... i contenuti, no; su quelli non si sono

pronunciati: silenzio assoluto, da parte loro; e invito a

tacerli, per parte mia.... Già... e intanto ne sto ancora par-

lando, anche con te, ora; è più forte di me, e non riesco a

tacerli”. “E come potresti, se sono le tue realtà vissute?

Anche se le ritieni negative, il parlarne forse ti aiuta a rivederle

nei loro aspetti più profondi, e quindi a non ripeterle

più nella tua vita. Come potresti evitare di parlarne?. Mi

pare giusto, d’altra parte – e penso che questo anche tu lo

condividi – che i superiori abbiano vietato la pubblicazione

di quegli scritti; ma nessuno può impedirti di parlare di

queste cose, e di rivederle da parte tua”.

“Mah!...- mi alzai dalla poltrona, e posando il bicchierino

salutai Padre Pierrin – Intanto, per questa sera, ne ho

parlato fin troppo. Non vorrei trascorrere queste giornate

a riempirti dei miei problemi... Ci vediamo domani...

Buona notte, Pierrin!”.

“Buona notte!... Ehi, ehi! Domani siamo invitati al

compleanno di uno dei gendarmi: quel tipo buffone che ti

ho presentato ieri mattina, su al confine; ricordi? Tourrè, si

chiama; ci ha invitati a pranzo. Ricordati!”.

“D’accordo, non mancherò. E grazie ancora!”. Le giornate

di Exilles trascorrevano felici e veloci; mi sembrava

di essere entrato in un’altra dimensione, in un nuovo

mondo. In quei giorni imparai a staccarmi da tutto quanto,

a sentirmi veramente libero, e da tutto: le cose – a parte

l’automobile – non mi servivano più;... soldi? Il necessario

c’era: potevo disporre di un piccolo gruzzolo che mi

dava ancora la possibilità di tirare avanti per un po’ di

giorni. E le persone?... Da qui riscoprivo la riconoscenza,

per tutti coloro che nella mia vita finora avevo incontrato;

ma ora mi sentivo svincolato da tutti, veramente libero...

da tutti... Sì, anche da lei. L’amavo ancora, certo, sempre

di più, anche da qui; la lontananza e il tempo trascorso,

invece di farmela dimenticare, me la rendevano ancor più

presente, attraverso i momenti dell’amicizia, attraverso il

richiamo della bellezza della natura,... Ma non era più la

presenza vincolante di Gourly: qui riscoprivo la sua presenza

come afflato di serenità, come una situazione bella

ma non angosciante; come se lei fosse veramente qui,

adesso, e io non avessi bisogno di cercarla ancora.

Sì: c’è ancora, lei, nella mia vita: è parte della mia vita.

Ma sono anche disposto a lasciarla perdere, se ciò rientra

nei disegni della volontà di Dio; sì, perché lei mi sta riferendo

a Lui; e Lui, intanto, mi sta rimandando a lei. Sarei

disposto a lasciarla perdere? Sì, se Lui vuole. Se Lui me la

portasse via dalla vita, se... sì, se permettesse che la morte

la portasse via da me?.

Risponderei: sua fatta la tua volontà su di lei e su di me.

No, non mi sono attaccato a lei, anche se la mia vita è lei,

anche se il mio respiro la respira, anche se tutto procede

nel nome di lei; anche se tutto ho rischiato, in queste

vicende, per lei. Lei mi rimanda a quel Lui che sto ora

riscoprendo grazie a lei. Anche se lei è lontana e silenziosa,

mai come ora mi parla ed è presente.

Se dovessi staccarmene? Se per Lui è bene, sia fatta la

sua volontà; intanto, la sua volontà consiste nel continuare

a respirare di lei, nel capire Lui attraverso di lei.

Ripenso volentieri e spesso alle realtà vissute insieme a

lei, a tutte quelle vicende che avevo descritto anche nel

mio libro; ma a prevalere non è mai la nostalgia, ma la

serenità.

Ogni volta che la penso, non posso far altro che dirle

grazie, dal profondo del cuore, e affidarla a Dio, perché

anche per lei avvenga la Sua volontà. Che cosa le avverrà?

Che ne sarà di lei? Sia fatta la tua volontà, Signore,

anche per lei. Grazie, Signore. Grazie.

“Arrivederci, allora! E fammi sapere qualcosa di te, di

dove finirai” così mi salutò Padre Pierrin.

“Ciao, e grazie di tutto. Ci sentiamo” gli risposi. E partii...

Non per ritornare subito a Glorenzia, no. Avevo pensato

di visitare un po’ quelle località straniere a me sconosciute,

e di tornare per una strada più lunga, passando

dalla cittadina di Ninierk, che avevo alcune volte sentito

nominare come caratteristica di quella nazione.

Attraversato il confine, posto lassù in alto, tra le vette

dei monti, mi fermai per la colazione presso una piccola e

graziosa trattoria alpina; dopo vari tentativi di spiegazione

con i gesti delle mani, quel barbuto e anziano oste mi

portò un panino con del formaggio, e si decise a mettere

sulla stufa una specie di caffettiera.

Riuscii così a fare una decente colazione, tranquillo e

indisturbato, in quel silenzio mattutino delle montagne,

che mi richiamava la levata, là, alla Caserma di Exilles...

Quando al suono della tromba delle sei, mi alzavo dal letto

e mi affacciavo a guardare giù nella vallata, ammirando

estasiato quei getti d’acqua che si innalzavano tra i frutteti

e pareva si divertissero a ruotare per l’aria, ondeggianti

qua e là, come giocando con le prime luci dei raggi del

sole. Dalla scodella fumante s’innalzò uno strano profumo

che mi richiamava le miscele di caffè che si gustavano un

tempo, in Seminario... Già, altri tempi!.

Osservai quel vecchio oste in attesa del mio gradimento,

poi annuii e gli feci capire che ciò che aveva portato era

proprio ciò che desideravo.

Nel primo pomeriggio raggiunsi Ninierk: una graziosa

cittadina, ricca di sorprese: edifici antichi e ornati da affreschi

e dai giochi dei fiori alle finestre; parchi stupendi,

dove al centro si ritrovavano a cantare e a suonare i più

svariati tipi di persone: dagli anziani col loro tipico costume,

ai giovani con la chitarra e attorniati dai gruppi dei

coetanei. Per le strade, poche erano le auto, molti invece i

calesse e i carretti trainati dai cavalli, con a bordo i primi

i turisti, e i secondi la gente e i lavoratori del posto.

Negozietti graziosi e piccoli, stipati di ogni genere di cose,

utili e suppellettili; vi si trovava di tutto: dal bottone della

giacca, all’oggetto prezioso.

Girovagai per un po’, poi sostai in un bar di un parco e

acquistai una bibita locale, indicandola al cameriere nella

mano a una signora anziana che, poco distante da me, si

sorbiva con la cannuccia una specie di aranciata... Ora,

c’era il problema della sistemazione; già... Dove?.

Pensai istintivamente a un albergo in centro, ma poi

l’idea non mi andò molto; allora, cominciai a girare con

l’auto nelle periferie della cittadina; ma quella zona mi

pareva un po’ triste. Mi fermai allora un momento, e osservai

a lassù, sulla montagna di fronte: c’era un bel paesino

che si sporgeva sulla vallata e che stava affacciato sul pendio

come a guardia della città.

Sì, mi piaceva: forse lì... sì; e poi, c’era anche la chiesetta,

non molto grande, ad osservarla da giù sotto; avrei

comunque avuto la possibilità di celebrare la messa.

Già...Ero ancora un prete, anche se... in esilio!.

Sorrisi, al pensiero di essere stato esiliato in quel periodo

dalla Chiesa, e ospitato dallo Stato, là ad Exilles.

Mah... Com’è la vita!. Yverlin: questo il nome che appariva

sulla segnaletica all’ingresso dell’abitato. Girai per un

po’ tra le strette vie, poi fermai l’auto al parcheggio della

piazza. Scesi e mi guardai intorno: qualche ragazzino che

giocava, qualche voce di donna che chiamava, alcuni

anziani a discorrere sul sagrato.

Quell’atmosfera tranquilla della sera avvolgeva tutto

quanto, mentre si accendevano piano piano le prime luci

dei lampioni di quella piazza, e quasi contemporaneamente

la miriade di luci laggiù, nella cittadina di Ninierk.

Riuscii a trovare una piccola locanda dove alloggiare, e

dove solo io, a quanto pareva, ero il cliente: me lo confermai

alla cena, poco dopo, quando, una volta sistemato,

scesi e trovai soltanto i due gestori, marito e moglie, seduti

al tavolino lì vicino, intenti a seguire una trasmissione

televisiva. Cenai con gli occhi fissi alla televisione che,

invece di distrarmi, mi faceva ancor meglio concentrare su

me stesso e sulle mie situazioni appena trascorse, una

volta partito da Exilles.

Risalii poi in camera e stetti per un lungo momento nel

buio, ad osservare fuori dalla finestra, ammirando quell’atmosfera

da presepe che mi si presentava giù sotto,

nella vallata della cittadina di Ninierk.

E dopo un po’ di sogni ad occhi aperti, ripercorrendo

l’esperienza di Gourly, che sentivo ancora tanto vicina, mi

lasciai che i miei sogni mi avvincessero a tal punto, da

condurmi a un lungo riposo.

Alle nove i raggi del sole mi fecero decidere di scendere

dal letto; una colazione veloce e senza parole, poi mi

recai alla chiesetta, per vedere se vi fosse una possibilità

per la messa. Una chiesa molto sobria, sia all’esterno che

all’interno, e che richiamava l’atmosfera protestante e

delle chiese dei films.

Attorno ad essa, un grazioso cimitero, ben tenuto, quasi

come un giardino che la circondava, e che dava sulla vallata.

Ninierk, laggiù, appariva ben distinta, adagiata nel

fondo della valle; si percepivano, lontani, i rumori della

città, come un sottofondo a quell’atmosfera di pace di

Yverlin, quasi a ricordare che, giù sotto, la vita c’era e

continuava. Mi sentivo solo, sperduto, sconosciuto; senza

capire se ciò fosse un bene o un male: mi sentivo libero,

ma nello stesso tempo mi assaliva un senso di nostalgia, e

l’impossibilità di poter condividere con gli amici, con

qualcuno, quelle belle realtà; una situazione stupenda, ma

che, vissuta da solo, mi faceva sentire una certa nostalgia.

Sulla porta della chiesetta, un cartello in scritte per me

ostrogote mi faceva intuire che gli orari delle messe dovevano

essere... distinguendo i numeri: 18... Ecco, probabilmente

questa sera c’è una messa qui.

Pensai allora a come organizzare quella giornata: adesso

la visita alla città di Ninierk; pranzo nel parco centrale,

in quel locale che ricordavo solo di sfuggita dal giorno

prima; pomeriggio, al laghetto: lo si vedeva da quassù.

E così feci. La sera, già molto prima delle 18, mi misi

seduto nella chiesetta di Yverlin; un po’ a pregare, un poco

a pensare, un po’ stando lì in attesa, incantato... Finchè,

poco prima dell’ora stabilita per la celebrazione, arrivò un

frate e si diresse alla sacrestia.

Stetti ancora qualche attimo in attesa, notando che a

poco a poco la chiesa si riempiva di persone, poi anch’io

raggiunsi la sacrestia. Il frate stava indossando i paramenti

per la messa; mi scrutò per un attimo, e mi rivolse una

frase come per chiedermi cosa desiderassi.

“Parla italiano?” gli chiesi io. Rispose con una frase

lunga e per me incomprensibile; cercai allora, con un po’

di gesti goffi ed elementari, di fargli capire che non l’avevo

capito, e alla fine tracciai su di me un ampio segno di

croce, indicando me stesso; poi feci l’atto di impartire

una benedizione, tentando di fargli capire che ero un

sacerdote.

Mi squadrò di nuovo, per un momento; poi, con accento

impreciso, tentò la sua domanda: “Taliano... taliano? e

mi indicava con l’indice.

“Sì, Italia... sì! - e annuii, contento che almeno su quello

ci fossimo intesi; continuai a tracciare segni di croce su

me stesso, ripetendo - Italia! Prete! Roma!... Papa!...

Jesus!... Sacerdos!”.

Il frate sorrise e mi fece cenno si stare calmo, che il più

era stato compreso; mi fece cenno con la mano, per esprimermi

che aveva trovato la soluzione a tutto, e di pazientare

un momento.

Uscì dalla sacrestia per un attimo, verso la gente in attesa

della messa; poi tornò recando al seguito una ragazza,

e me la indicò: “Birgit!... Taliano!”.

Le strinsi la mano e sospirai, sorridendole: “Sei italiana?”.

“No – rispose lei con scioltezza – sono di qua, ma

studio lingue, e lavoro in un albergo dove si parla di frequente

l’italiano. Lo capisco abbastanza bene”. Attraverso

quell’interprete fu possibile dialogare con il frate, facendomi

capire, e chiedendogli di concelebrare, anche soltanto

come suo assistente, senza dire nulla, in quanto quella

loro lingua per me era tabù.

Dopo la messa, durante la quale il religioso mi presentò

ai fedeli, raccontando chissà che cosa su di me, intuendo

solo dai sorrisi e dagli sguardi, e rispondendo a mia

volta sorridendo verso l’assemblea, sentendo pronunciare

il mio nome – anche se con strana pronuncia – in sagrestia

il discorso continuò ancora un po’, con l’aiuto di Birgit.

Appresi che quello era un frate che si trovava a Ninierk

solo per un convegno della sua Congregazione e che, nel

frattempo, veniva a celebrare a Yverlin; che negli altri

periodi, in quel paese, il sacerdote non c’era.

Dissi loro che io ero in visita per qualche giorno, lì a

Ninierk, e che quel paesino mi era piaciuto; e che sarei

rimasto qualche giorno ancora... poco in paese, e solo per

la messa, se possibile.

Alle parole della traduttrice il religioso annuì e mi

strinse la mano, rivolgendomi una frase che mi venne così

tradotta: “Arrivederci; a domani sera; ora, devo scendere

a Ninierk; buona permanenza!”.

Uscito dalla chiesa, feci per salutare Birgit; lei mi chiese:

“Dove sei alloggiato?”. “Dunque... laggiù...- non ricordavo

quel nome strano, e allora le spiegai dove si trovava

- ...appena entrati in paese, dopo l’ultimo tornante, una

locanda...”. “Ah! Dai Picler! – e mostrò di conoscere quei

gestori – Sì!... Lui, un po’ scorbutico; lei, così gentile...Un

buon locale, comunque, discreto e grazioso, con una bella

vista sulla vallata”.

“Tu... lavori quindi laggiù a Ninierk?”. “Sì, da qualche

anno; un buon lavoro: conosci tanta gente, molti turisti, e

ti fai anche una buona cultura delle lingue straniere.

Qualche anno fa, poi, sono stata anche in Italia, a Venezia,

presso amici di mio padre. Bella, l’Italia! – e sospirò –

Certo, anche qui tutto è bello; ma manca quell’atmosfera

che c’è da voi: qui tutto è più... non so come dire...serio,

organizzato, meno umano. Da voi, invece, è tutt’altra

cosa, vero?”.

“Già...” risposi io distrattamente, ripensando alle mie

vicende ‘umane’ che avevo lasciate là. “Ora che fai?

Scendi in città?... L’hai già visitata?” mi chiese.

“Sì – le risposi – e per oggi è abbastanza; domani, ricomincio

a visitare là dove oggi sono andato un po’ di fretta;

stasera sto qui”. Parlammo ancora per un po’, lì seduti

sul muricciolo del sagrato, di fronte al cimitero che dava

sulla valle; finchè io dissi, guardando all’orologio: “Ehi! È

l’ora di cena!... Chissà come mi stanno aspettando impazienti!

Ora vado... Ciao, allora! Ci vediamo domani sera

alla messa!”.

“D’accordo! – fece lei stringendomi la mano e salutandomi,

mentre io mi incamminavo in fretta - A domani!”.

Quella sera, prima di addormentarmi, sognai ad occhi

aperti quella ragazza che il destino mi aveva fatto incontrare;

ripercorrevo i suoi lineamenti, riconsideravo i suoi

gesti, risentivo le sue parole, me la immaginavo di fronte,

con quegli occhi sinceri e sereni...

E intanto, dovevo riconoscere che qualcosa tra me e lei

già c’era: una situazione che mi richiamava da vicino

l’esperienza di Gourly... E il mio pensiero e la mia fantasia

si trasferirono allora da Birgit alla dolce ‘lei’ che avevo

lasciato...per sempre, là in Italia.

La visita di Ninierk non fu granchè in quella mattinata:

mi ero adagiato su una sedia del bar nel parco centrale; e

mentre gettavo qualche briciola rimasta dalla brioche ai

cigni del laghetto, i miei pensieri erano tutto un progetto

sulla serata con Birgit.

Tentavo di scacciarli, là dove la mia fantasia li arricchiva

troppo con scene intense di amore; ma essi subito ritornavano

alla carica, e io ricominciavo a pensare a come trascorrere

quella sera in sua compagnia, a non sprecare

quelle ore di amicizia profonda, a cogliere l’occasione di

quella relazione.

C’era anche il fatto che Birgit si mostrava interessata e

disponibile; in più, l’essere in quella terra straniera, sconosciuto,

mi faceva sentire libero da ogni vincolo, anche

circa il mio essere prete: tanto, qui, chi ci farebbe caso, al

vedermi in giro con lei, al nostro stare insieme? Non ci

sarebbe proprio nessun problema!. E sentivo riemergere

quell’intensità che a Gourly mi aveva condotto a quelle

pazzie: quel desiderio intenso che mi pare di sentire ora in

me come ancora inappagato, che riemergeva e mi portava

a dire: non sprecare l’occasione! Tanto, che ci guadagni a

trattenerti?. E così, la mattinata trascorse seduto al parco,

immerso tra quei progetti e quelle fantasie; Ninierk mi

interessava sempre meno, e Birgit sempre più. Pranzai a

un tavolino all’aperto di un self-service; poi, tra un caffè e

l’altro, visitando tutta la città senza guardare a niente, solo

con l’attesa di lei per quella sera, giunse l’orario della

messa a Yverlin.

Quella sera, sconvolgendo tutti quanti i miei progetti,

Birgit mi invitò a conoscere la sua famiglia: “Vieni, ti

aspettano. Vedrai che ti troverai a tuo agio; abito proprio

sulla strada che conduce giù dai Picler... Non dovrai poi

nemmeno tornare indietro”.

Dolcemente insisteva, con quelle sue parole, quasi col

timore che io adducessi una qualche scusa e non accettassi

l’invito. Ma, a questo punto, non ero già più capace di

resisterle: ero dentro, di nuovo, in quella situazione che

non osavo chiamare, ma era di nuovo necessario definire

come ‘innamoramento’.

“Andiamo – le dissi, prendendola per la mano, sentendomi

per un attimo a disagio, ma poi adattandomi alla

situazione – e vediamo la tua famiglia!”.

Quella sera trascorse tra la cordialità dei suoi, le mie

battute - che in parte venivano tradotte da lei, in parte restavano

tra noi perché un po’ indiscrete - e i commenti di suo

padre circa l’andamento di quel paese: politica, amministrazione,

tempo libero, lavoro,...E a tutto io fingevo di

interessarmi; ma, alla fine, il mio sguardo si concludeva

sempre nei suoi occhi, e la sua risposta era un viso dolce e

uno sguardo tenero. E così, in quei giorni, tra la messa e la

notte, la serata era il momento d’oro di quel soggiorno, e

la nostra amicizia si approfondiva sempre più. Ormai,

sapevo quasi tutto di lei; e lei, non tutto, ma tanto di me...

il resto l’avevo inventato.

Tornando lì la sera, le dicevo che Ninierk mi era piaciuta;

ma, in realtà, oltre il parco con il laghetto dei cigni, non

è che fossi andato a visitare altre cose. Ero stato invece là

a pensare alla mia vita, a lei, alle vicende trascorse:

Gourly, Glorenzia, Exilles,... Rivedevo le persone, rivivevo

le gioie e le lacrime della tristezza e della nostalgia... e

poi tutto ora orientavo qui: a Ninierk, a Yverlin,... a Birgit.

Quella sera, l’atmosfera del sagrato e del cimitero era

particolarmente raccolta e delicata: non solo si sentivano

in lontananza le voci di Ninierk laggiù nella vallata, ma

anche i grilli, e l’acqua della fontana della piazza, quasi a

conciliare quello che stava avvenendo.

Lassù, nel cielo, l’azzurro appena accennato si accordava

armoniosamente con quelle nuvolette bianche che parevano

batuffoli di cotone... E i passeri, saettanti, sfrecciavano

qua e là, quasi a dare l’ultimo tocco a quel quadro di

atmosfera fantastica.

Di fronte, il massiccio dei monti, innevati sulle cime,

pareva fermare lì ogni mia fantasia, e raccoglierla là, dentro

quelle casupole che, viste da lontano, si notavano solo

per le fioche lucine che le additavano come case abitate

dalla gente felice.

Dopo aver contemplato quella realtà fuori di noi, ci eravamo

volti ad osservarci, noi due, nei nostri occhi, mentre

ora cominciavano a parlare le emozioni del cuore. Le

nostre mani si stavano già abbracciando, mentre i nostri

sorrisi ci invitavano ad avvicinarci, sempre più... Finchè ci

ritrovammo stretti, in quel silenzio, a lasciar parlare sempre

più le voci dei cuori. ...E fu proprio questa voce del

cuore a farmi ritornare, in quel momento, alla ‘lei’ che là,

a Gourly, pensavo di aver lasciata per sempre... Quella

‘lei’ che ora affiorava lì, mentre stringevo tra le mie braccia

Birgit... Lì risentivo, rivedevo, riabbracciavo quella

‘lei’ che rivivevo ora tanto vicina, da non poterla dimenticare

così... Nemmeno per quella esperienza, che certo era

bella, ma che adesso si rivelava sempre più inadeguata per

me, sempre meno appagante.

Sentivo sempre più svanire in quell’abbraccio i miei

progetti di quei giorni, mentre riaffioravano quelli di sempre:

quella voce del cuore che nessuno, nemmeno Birgit,

ora, era riuscita a far tacere; quella voce del mio respiro,

della mia anima, di quella vita che era la sempre più lontana

e sempre più vicina ‘lei’.

Mi scostai delicatamente da quell’abbraccio che pareva

destinato a non finire più, e raccogliendo tra le mani il

volto di Birgit, le dissi: “Senti... Ora devo parlarti... di ciò

che ancora non sai, e che è giusto che ti dica, ora, qui,

subito”. Ci sedemmo su quel muricciolo ormai tanto familiare,

e io iniziai a narrarle della mia vicenda, senza

nasconderle più nulla: di Gourly, di ‘lei’, di Padre Noir,

del mio essere prete e del voler continuare ad esserlo,

nonostante tutto ciò che anche adesso stava avvenendo...

del mio soggiorno all’Eremo di Glorenzia, della storia del

libro, del mio ritirarmi a Exilles... e ora qui, a Yverlin...

“Dove ti ho conosciuta” conclusi sospirando e soffermandomi

in una lunga pausa, a scrutare il cielo ora buio.

Birgit aveva lo sguardo pieno di stupore e di meraviglia;

e nonostante cercasse di nascondere queste sue emozioni

nelle ombre della tarda serata, la luce del lampione posto

di fronte faceva luccicare, senza che lei se ne accorgesse,

quelle lacrime che io ora notavo sul suo volto. Le dissi che

per me quei giorni erano stati meravigliosi, e che in lei io

avevo trovato un’amica indimenticabile; e che per questo

avrei conservato il suo ricordo con affetto e riconoscenza,

nella mia vita di sacerdote.

Dall’andamento e dal tono del mio discorso Birgit intuì

che avevo intonato il canto dell’addio: “Te ne devi andare?..

.Quando?”. “Sì, Birgit... Mi aspettano, a Glorenzia; è

bene che io torni, e che non resti qui a ingannarti, mentre

la realtà è da affrontare, per me e per te, diversamente da

così”. Mi osservò, con quello sguardo delicato, e cercò di

sorridere, sfiorandomi con una carezza... Ma scoppiò in un

pianto a dirotto tra le mie braccia.

La mattina presto ero già in viaggio... Staccarmi anche

da Birgit era ora un altro duro colpo da accettare. E ora,

percorrendo quelle strade sconosciute e sempre più distanti

dalle cose a me care, continuavo a chiedere a Dio dove

sarebbe andata a concludersi questa mia vicenda tanto gioiosa

e tanto drammatica... E piangendo, mentre l’auto

scorreva tra quei luoghi sempre meno noti, le lacrime

scendevano abbondanti, irrorate dai ricordi.