A notte inoltrata raggiunsi l’Eremo di Glorenzia... Quel
luogo che, accogliendomi dopo le vicende di Gourly, mi
aveva rifocillato nello spirito; dove io mi ero illuso che la
vita travagliata fosse arrivata alla conclusione; mentre lì,
proprio in quel luogo importante della nostra Chiesa diocesana,
era nato il mio...– ebbi qui un sussulto - ...quel
libro che aveva messo in agitazione tutto quanto, e ancor
più di prima. Mentre toglievo dall’auto i bagagli, mi guardai
attorno, in quel buio della notte che mi permetteva a
malapena di distinguere la forma dell’edificio. Scrutando
nel buio cercai di capire come fosse ora l’atmosfera per
me, in quel momento: cosa mi stava attendendo, che cosa
era successo nel frattempo, in quei giorni della mia lontananza;
se era successo qualcosa di importante che mi
potesse riguardare da vicino... Jean mi avrà cercato, per
sapere qualcosa di me?... E quelli di Gourly?... Là, in attesa,
quel giorno del mio preannunciato arrivo, vedendomi
tardare e non più venire, che avranno pensato? Che cosa
avranno detto? Cosa avranno fatto? Mi avranno cercato
anche qui?. E la storia del libro, si sarà poi acquietata?.
Prima di partire, quelli della tipografia avevano cercato
di contattarmi per sapere come stava procedendo la
distribuzione...Sorrisi, scuotendo il capo, mentre nel buio
tentavo di trovare la serratura della porta d’ingresso... Ma
questa chiave, entra o... ah, ecco!.
E rieccomi nella mia stanza, quassù in alto, nel silenzio
dell’Eremo!. Dopo aver posato le valigie, apro un poco la
finestra, perché entri un po’ d’aria... Ed ecco là, di fronte
a me, nel buio, delinearsi la montagna, quella montagna
del Vangelo!. Già... sorrido, ricordando quella prima volta,
appena giunto qui; quando, la prima sera, trovandomi di
fronte a quel monte, mi ricordai della frase di Gesù che
diceva: “Se aveste fede quanto un granellino, potreste dire
a questo monte: spostati, ed esso si sposterà”; e allora,
quella sera, avevo cercato in tutti i modi di provare a spostare
quella montagna, e volevo vedere se davvero... Ora,
in tutte queste mie vicende, devo riconoscere che il monte
che occorre spostare sono io: è la mia durezza e la mia
incapacità a seguire la volontà di Dio; devo spostare da me
quel macigno che è il mio io, che sempre più tenta di appesantirsi
su di me e di mettere un peso anche sopra gli
altri... Se avessi fede!.
Scrutando in quel buio della notte, tra le nuvole che nel
nero si presentano come fantasmi della notte, facendomi
immaginare le paure future, e richiamandomi quelle del
passato, ripensavo a quando, prima di partire per Exilles,
avevo consegnato il libro a Padre Speir, e a quando poi
avevo dovuto farmelo ridare; quando lui, giù in giardino,
quella sera, passeggiando accanto a me, cercava di infondermi
coraggio e mi mostrava che tutto non era solo negativo.
Non me lo aveva detto esplicitamente, questo; ma me
lo trasmetteva con le sue parole e il suo modo di fare,
dicendomi che tutto quanto si sarebbe presto sistemato, e
facendomi intravedere la possibilità di soluzione delle
cose, esclamandomi quasi divertito: “Eh, dai!... Non penserai
davvero che tutti ora si mettano lì a vedere tutto quello
che stai combinando!”.
La mattina, appena giunto in cucina per la colazione,
tutte le suore mi si fecero attorno a darmi il benvenuto:
“Com’è andata la vacanza? Si è riposato? Sta bene?... Ci
ha scritto una cartolina?”... Le domande piovevano a
dirotto, una dietro l’altra, senza darmi quasi la possibilità
di dare una risposta.
Padre Speir, sopraggiunto in quel mentre in cucina,
interruppe il dolce e premuroso interrogatorio: “Ecco chi
si rivede! – esclamò avvicinandosi; e dopo avermi squadrato
come per prendermi le misure, riprese – Ingrassato,
riposato e rilassato: che vuoi di più dalla vita?” e tutti
quanti sorrisero.
“Sapesse – intervenne una delle suore – quante chiamate
per lei, un giorno!”. “Ma non abbiamo detto nient’altro
che: ‘non c’è’ – aggiunse un’altra – e se insistevano, passavamo
la telefonata a Padre Speir”.
“Ma...- chiesi distrattamente – e non si arrabbiavano...
sì, del fatto che io non mi ero fatto rintracciare?”.
“Qualcuno continuava a insistere: ‘Possibile che non
abbia lasciato detto niente! Doveva venire qui da noi, stasera!’”
rispose la suora, facendomi capire dal tono che le
telefonate erano state veramente molte.
“E...il Vescovo, ha chiamato?”. “Il Vescovo? – disse
una suora guardando meravigliata alle altre – No...perlomeno,
noi non abbiamo ricevuto nessuna telefonata; proveremo
a chiedere alle altre; ma sembra di no...”: “Fa
niente” interruppi io.
Padre Speir, più tardi, mi confermò che il Vescovo non
mi aveva cercato; e che invece l’aveva fatto, e più volte,
mia madre, e sarebbe stata cosa buona che io mi facessi
sentire o vedere... Quanto agli altri, tutto sembrava essersi
acquietato, mi disse lui.
Appena mia madre mi vide, mi accolse, proprio come
le suore dell’Eremo, con una miriade di domande:
“Dove?... Perché?... Mi vuoi spiegare?... Come stai adesso?...
Ma lo sai che sono stati anche qui a cercarti, quel
giorno che ti aspettavano a Gourly? E adesso...?”.
Cercai di spiegarle, tra il suo pianto e il mio cercare di
mostrarmi sereno, com’erano andate le cose, e che ora non
c’era più alcun pericolo: il libro non era più in circolazione,
anzi, non esisteva più; o meglio, esisteva ancora, chiuso
a chiave in una stanza dell’Eremo, ma era come se non
esistesse, perché era destinato al macero.
E quanto al fatto che qualcuno l’aveva letto, beh, l’avevano
certo anche dimenticato. E per mostrarle che veramente
tutto si era risolto, senza più problemi del genere,
mi fermai a pranzo a casa.
Discorremmo, in generale, di tutto, senza mai accennare
al mio problema in particolare: né libro, né parroci, né
ragazze, né crisi furono argomenti trattati; tutte cose generiche:
come andavano le cose in famiglia, come stava zia
Delcy, e gli altri parenti; poi si parlò del lavoro e dei soldi,
dei problemi del mondo, e dei luoghi che avevo visitato in
quei giorni di vacanza. E riuscii a parlare tanto di Exilles,
senza accennare minimamente a Yverlin, per non compromettermi;
e così il pranzo fu consumato serenamente, e
mia madre mi vide sereno e contento ritornare all’Eremo.
“E adesso che ti sei riposato – mi disse lei salutandomi –
sei pronto per la nuova destinazione; quando te la daranno?”.
“Il tempo di lasciare acquietare tutto definitivamente,
e poi vedremo!”. “Ciao” mi salutò lei con gli occhi
ancora arrossati, ma sorridente.
“Ciao, ci vediamo in questi giorni; sono qui nei paraggi”
risposi, pensando di rasserenarla un po’ di più.
È trascorso un mese dal mio arrivo da Yverlin; tutto è
tornato alla normalità, proprio come ai tempi sereni, dopo
che, giunto da Gourly e recuperata la serenità, sto qui ad
attendere, nella preghiera e nel riposo, la nuova destinazione.
Padre Speir... le suore, gli amici di qui, tutto contribuisce
a farmi recuperare, come se quelle vicende del libro
fossero state un piccolo e futile intoppo del percorso della
mia vita. Mi sto preparando, poco a poco, a mettermi nella
disposizione di ricevere la destinazione; non proprio una
parrocchia mia, che certo non sono ancora pronto a ricevere,
dopo quella birichinata del libro, ma comunque una
sistemazione conveniente, come coadiutore.
Mah... vedremo; anche Padre Speir dice che tutto si è
andato recuperando, poco a poco, e che presto sarò in
grado di svolgere il ministero che mi verrà affidato dal
Vescovo. Già... il Vescovo... Jean non si è fatto più sentire,
chissà perché. Penso di andare io a farmi vedere da lui,
uno di questi giorni, in Curia; e gli devo dire, a questo
punto – a Padre Speir non l’ho ancora detto, dato che gli
vorrei fare una sorpresa – che, adesso, sono disponibile a
lasciarmi affidare qualsiasi ministero riterranno opportuno
per me; ma se a loro va bene, potrebbero anche lasciarmi
qualche anno qui, in aiuto a Padre Speir: qui mi trovo
bene, e con lui andiamo d’accordo, e per le sue attività ha
certo bisogno di un collaboratore. Sì, io mi metto disponibile;
poi, saranno loro a decidere.
Ho accettato nel frattempo di celebrare, per un sabato
di aprile, il matrimonio di un mio cugino: sono stati qui,
lui e la sua prossima sposa; non ho rifiutato, anche perché,
da parte mia, è giusto che recuperi tutte le mie... funzioni
sacerdotali. Intanto, le cose qui procedono bene: spesso mi
reco nelle parrocchie vicine a supplire qualche sacerdote
per la celebrazione della messa, o vado ad aiutarne qualche
altro per le confessioni; ho anche tenuto qualche
incontro fuori, nei paesi, parlando ai catechisti e a dei
gruppi... Sono proprio contento!. Qui all’Eremo le attività
sono svariate e ben nutrite: incontri, confessioni, celebrazioni,
riflessioni da proporre; e poi, anche il gioco e il
divertimento: sì, non manca l’atmosfera di allegria che
sgorga da questo ambiente sereno fuori...e sempre più
anche dentro di me.
Il presente sembra sempre più far dimenticare il passato;
beh, nei sogni e nei ricordi esso emerge, ma subito è
messo in second’ordine rispetto alla vita del presente.
Tutto ciò che è stato sembra proprio destinato ormai ad
essere cancellato dalla mia vita, per fare spazio al presente
e a un futuro veramente nuovo.
E quando qualcuno, accennando al mio passato, avendo
avuto anche solo un sentore delle cose che sono state,
mi chiede: “Ehi, ma quel tuo libro, che andavi in giro a
dire che sarebbe stato un successo, dov’è?” la mia riposta
è un sorriso. “Eh...” e il discorso rientra nei problemi e
negli argomenti quotidiani. Ormai, quel libro l’ho rinnegato,
e non intendo nemmeno più pensarci... Sbagli di gioventù...
Roba del passato... Tutto finito. Dimenticato.
Sabato 15 aprile, ore 9. Il Matrimonio di mio cugino è
fissato per le undici, in quel santuario posto laggiù, in
mezzo al verde dei colli che attorniano la città. Sono in
anticipo, e intanto ne approfitto per fare un giretto, in questa
stupenda mattinata primaverile, ammirando le ville
nascoste nel bosco e i luoghi ancora sconosciuti di queste
colline che abbracciano il santuario.
Dopo essermi fermato in cima a questo colle, per un
caffè ristoratore, osservo e contemplo tutta quella distesa
dei prati colorati, e il mio sguardo continua, attraverso
quell’atmosfera serena, fino a giungere ai piedi dei monti
lontani... E là, in mezzo, ecco il Santuario.
Respiro quell’atmosfera che mi richiama il Paradiso; e
mi siedo, in auto, rilassandomi comodo nel sedile, per
meglio gustare tutto quanto: i colori, i profumi di quella
lieve mattinata della primavera; tutto quanto sembrava
proprio volto a conciliare quella contemplazione, a darmi
ancor meglio il senso della serenità...
Accadde tutto in pochi attimi, come sgorgando da quell’atmosfera...
Fu come una chiara intuizione: immaginare
di fronte a me, disegnata dalla fantasia e fotografata dalla
memoria... La trama... Sì, come se tutto quanto scorrendomi
davanti in quegli attimi mi si presentasse come un invito,
affinché io potessi ripresentarlo con uno... scritto!.
No!... No!... Basta! Non è possibile!... È una tentazione!...
Via da me!... Cercai di scacciarla più volte, ma inutilmente:
più scacciavo quei pensieri, più essi ritornavano
a me; più rimandavo indietro quei personaggi, più essi
ritornavano e insistevano, dietro le mie spalle, come se
volessero essere scritturati per quelle parti... Una
Commedia vidi: questa era la trama.
E ritornava a me, in piccola sintesi, sempre più definita,
perché io la accogliessi. Tentai ancora per un po’ di
resistere; poi capii che era troppo più forte di me.
Allora giunsi a un compromesso: presi il notes posto
nel cruscotto dell’auto e annotai le cose più importanti: il
titolo, qualche nome dei personaggi, qualche riga per la
trama; poi riposi il notes, e diressi l’auto verso il
Santuario.
Pensavo così di aver accontentato quella tentazione e,
nello stesso tempo, di essere riuscito a metterla da parte.
Il giorno dopo invece, all’Eremo, fatta colazione, ripresi
dall’auto quelle poche righe e iniziai... Il secondo scritto...
Dando sfogo a quelle fantasie il giorno prima appena
accennate. Già, stavo proprio tornando alla pazzia! Un
altro libro!... Dopo le vicende appena concluse, quale follia
mi portava a questo, a rendere ora possibile questa
assurdità?!. Me lo chiedevo, sempre più in quei giorni; ma
intanto le righe del manoscritto aumentavano, e con esse i
fogli... e tutto quanto il resto.
Sentivo che, nonostante tutto ciò che era accaduto, non
c’era proprio niente da fare: era impossibile resistere e non
scrivere ciò che mi veniva suggerito dalla fantasia in
modo quasi naturale.
Mi accorgevo che, senza che io mi sforzassi di farlo,
quella realtà misteriosa mi suggeriva tutto quanto, perché
io procedessi; quella realtà sconosciuta da sempre, anche
ora; ma, da sempre, vittoriosa. Niente da fare: nonostante
ogni tentativo della ragione di rendere ragionevoli le cose,
tutto quanto procedeva.
Nel frattempo, una di queste sere, sono entrato nella
stanza dov’era stato posto il mio libro: le tremila copie
destinate al macero, già... Ma, volendo controllare che non
ci fossero più, mi resi conto che c’erano ancora, e tutte
quante: tutti quei pacchi, che parevano con il loro peso
sfondare, da un momento all’altro, quel pavimento. Le
avevo, in effetti, già notate, una sera, appena tornato da
Yverlin, quando ero andato di notte in quella stanza del
terzo piano, per accertarmi se le avessero già distrutte, e
trovando lì ancora tutti quei pacchi sigillati, avevo allora
commentato: “Beh, adesso io sono al sicuro... E questi,
speriamo che li distruggano al più presto!”. E me ne ero
andato a letto, lasciando tutto tale e quale.
Questa volta, però, non fu così, come allora: aprii uno
dei pacchi sigillati, e vi estrassi un po’ di copie; poi richiusi
il pacco e tornai nella mia stanza. Osservai quel tascabile
stampato, e poi volsi lo sguardo agli scritti di adesso,
che stavano formandosi in questi momenti; scossi il capo,
quasi a constatare la mia pazzia oltre ogni limite, quindi
aprii il cassetto dell’armadio e nascosi accuratamente, tra
le coperte, quelle copie rinvenute.
Padre Sonne, il mio primo parroco, era stato trasferito
a Gremelly da qualche anno; con lui c’erano stati momenti
belli e anche qualche difficoltà, che più o meno esiste
sempre nel rapporto tra sacerdoti che sono chiamati a servirsi
l’un l’altro.
Ma, certo, mi aveva donato tanto nell’esperienza del
suo sacerdozio, e gli ero riconoscente; ero stato anche a
trovarlo qualche volta, ma sempre il discorso riguardo alle
mie difficoltà con il suo successore a Gourly - Padre Noir
– si era bloccato là dove rischiava di entrare nelle cose
troppo personali mie e sue, o quando il parlare di quei problemi
tendeva a giudicare la persona di Padre Noir: non
era giusto parlare male di chi non c’era; per cui, ci si fermava
e si discorreva d’altro.
Anche circa le vicende con la ‘lei’ a Gourly non mi ero
sbilanciato: gliene avevo sempre parlato in generale; e lui,
saggiamente, mi aveva suggerito che in quei tipi di problemi
era bene che mi rivolgessi a una persona da me scelta
come consigliere spirituale. E anche lui aveva saputo delle
mie vicende fino in fondo solo quando, quella volta, gli
avevo consegnato il libro; che poi mi aveva riconsegnato,
il pomeriggio, di fronte al precipitare della situazione. E
ora, era lui la persona più adatta con la quale parlare di
questa ‘riemersione’ del problema: chi più adatto di lui?.
Ormai tutti mi conoscevano rimesso alla ragione e risistemato,
e non avrebbero certo ascoltato volentieri le mie
parole; dirlo ad altri mi pareva un’assurdità; dirlo a lui,
certo, era ugualmente una pazzia.
Ma sapevo che, in quel momento, lui era la persona più
adatta per ascoltare quei miei problemi, anche perché
conosceva più da vicino le persone coinvolte, e l’ambiente
di Gourly; mi avrebbe aiutato certamente con più possibilità
che non altri.
Mi recai perciò da lui, offrendogli di nuovo il libro, una
volta requisito, e in più, adesso, il nuovo manoscritto fotocopiato
dall’originale; gli raccontai degli ultimi risvolti
della situazione, e del fatto di come tutto ciò che stava
avvenendo fosse molto, molto più forte di me. Padre
Sonne, dall’altra parte della scrivania, mi ascoltava con
estrema attenzione; feci anche qualche piccola pausa per
dargli la possibilità di intervenire o di chiedere, ma ogni
volta capivo che egli nulla avrebbe detto, fino a che io non
avessi concluso il mio discorso ed esposto il mio punto di
vista. Mi ascoltava, calmo, fissandomi e come soppesando
le mie parole; e io mi sentii veramente ascoltato fino
alla fine della mia esposizione.
Conclusi dicendogli: “Non so: forse in questo mio procedere
da pazzi sarò un indemoniato, guidato dal
Demonio...- e qui egli fece un gesto di disapprovazione,
ma io continuai – Sì, l’ho detto anche al Vescovo: può
benissimo darsi che io lo sia; e ora lo ripeto qui. E non con
paura, ma con serenità: può benissimo essere che Dio permetta
questo, per un qualche suo disegno misterioso.
Certo: adesso, se mi trovo sotto il potere del Demonio,
come in parte credo, lo sono con il permesso di Dio; quindi
sono sereno, perché sarà lui, Dio, a guidare il tutto. Le
pare un discorso assurdo?”. Padre Sonne iniziò: “Ti vedo
convinto di quello che dici circa il tuo modo di procedere;
beh, io non ti dico che sei o non indemoniato, non entro
nel merito delle tue considerazioni al riguardo. Vorrei solo
darti, se li accetti da amico, un consiglio e un avvertimento;
il consiglio è: prega, rimani in contatto con Dio, facendo
sì che la preghiera sia sempre non solo personale, ma
inserita nella Chiesa: essa ti aiuterà a discernere le cose
che avvengono e a trovare il modo giusto per procedere. E
l’avvertimento è questo: preparati, se anche solo le cose
stanno così, a soffrire: sei colui che più di tutti si sta compromettendo
in queste realtà, che ti causeranno niente
altro, esternamente, che la croce. Se queste cose, scottanti
come sono, procederanno, ricorda che tu sarai il primo ad
arderci sopra”.
“...Ma... Circa la loro positività, lei pensa, Padre Sonne,
che ci possa essere un aspetto di valore in tutta questa
vicenda, o mi considera solo un sognatore?”.
“Sinceramente, le cose che hai scritto sono forti e al di
là di ogni logica attesa; non parliamo poi del fatto che
delle persone, nel bene e nel male, ne vengono coinvolte,
e del fatto ancora che ti stai preparando ad andare verso
una sfida con la Chiesa; una sfida che tu consideri certo
positiva, e che non vivrai, da ciò che mi dici, nella disobbedienza:
se ti hanno detto di non pubblicare, tu sei disposto
a farlo... Ho inteso bene fin qui?”.
“Sì, condivido tutto, ed è così quello che io penso”
affermai. “Certo, io non vedo ancora quella positività che
tu dici di intravedere in tutto ciò e che affermi essere la
spinta di tutta la situazione; ciò nonostante, non te la posso
negare. Mi viene in mente... Sì, negli Atti degli Apostoli,
quella considerazione che mi pare si adegui bene anche a
questa tua vicenda: ‘se queste cose vengono dagli uomini
– da te – a poco a poco svaniranno e si perderanno da sole;
ma se vengono da Dio, procederanno, secondo i suoi
piani, e niente e nessuno le potrà fermare’”.
Ero convinto di aver ricevuto veramente parole sagge
in quell’incontro; sì, tutto rimaneva ancora nell’ambiguità:
potevano essere cose mie, come avrebbero potuto essere
le realtà di Dio; e intanto, ancora adesso non lo sapevo.
Ma l’incontro con Padre Sonne mi aveva dato la necessaria
serenità della quale sentivo il bisogno in quel momento;
che mi avrebbe aiutato a vivere, in ogni caso, quelle
mie realtà con il desiderio di far trionfare, alla fine, la verità,
e qualunque essa fosse.
Percepivo sempre più, ora, che era qualcosa di grande,
più grande di me, a passare attraverso di me e le mie esperienze;
avrebbe potuto essere roba del Demonio, avrebbero
potuto essere realtà di Dio... Entrambe, comunque, più
forti di me, ed erano loro a condurre il gioco: o il
Demonio, o Dio.
La mia serenità non veniva meno né nell’uno né nell’altro
caso, perché il mio modo di procedere non era finora
andato contro la Chiesa, ma sempre e solo oltre essa...
E come sarebbero poi finite le cose, se in bene o in male,
io certo non potevo stabilirlo: potevo soltanto, ora, vivere
con la disponibilità ai consigli che Padre Sonne mi aveva
suggeriti, non vivendo mai queste realtà nella disobbedienza...
E finora ci riuscivo: non pubblicare quegli scritti
– mi ripetei – perché se sono da Dio procederanno; e se dal
Demonio, svaniranno.
E se anche adesso stavo ragionando secondo la tattica
del demonio – come spesso ero portato a pensare - poco
importava: a Dio, a Lui spettava l’ultima parola; e se per-
metteva che io mi illudessi nel gioco del Demonio, bene:
anche questo rientrerà nel suo piano di condurre a termine
il suo operato misterioso, la sua volontà... E per questo
sono sereno. Già: credere in Dio come l’unico, ecco
l’orientamento alla soluzione; anche se le cose, attualmente,
sembrerebbero portare lontano da Lui.
L’importante è credere in Lui, anche oltre ogni evidenza.
Dopo l’incontro con Padre Sonne, sono ripassato al
Monastero delle suore di clausura, e raccontando tutto
quanto alla Madre, che mi osservava alquanto meravigliata,
le riconsegnai il libro, assicurandole che non l’avrei
pubblicato, ma neppure mai più rinnegato: se ero io, lì, ero
quello stesso che ora stava davanti a lei – le dissi – e non
nonostante quelle vicende, ma proprio attraverso di esse.
La Madre mi salutò, assicurandomi che l’avrebbe ora
letto tutto, e non solo in parte, come aveva fatto allora; e
tenendo conto delle cose che ora gli avevo detto.
E così, piano piano, varie copie ritornarono, accompagnate
ora dalla fotocopia del nuovo manoscritto, a coloro
ai quali un tempo erano state ritirate: a mia madre, a zia
Delcy, ad altri parenti e amici, sacerdoti e no, a Padre
Speir... e così via, nei giorni a seguire.
La consegna veniva sempre accompagnata dal racconto
di tutta la vicenda, nei suoi assurdi risvolti e in quegli
aspetti che ancora consideravo misteriosi e impossibili a
definirsi come bene o male.
E tutto, piano piano, era ricominciato; e a quanto pare,
continuava. Anche al Vescovo Jean fu consegnata la copia
del manoscritto: a lui, il libro non era stato necessario ritirarlo:
Padre Erik, il suo fidato, l’aveva ricevuto in consegna
e l’aveva messo tra i silenzi e i segreti, destinato a
tacere per sempre.
Quando porsi quel manoscritto celato in una cartelletta
a Jean, egli, apertala, alzò gli occhi al cielo, e mi fece capire
di togliermi in fretta di torno; poi rientrò nel suo ufficio
con sottobraccio lo sgradito dono.
Era stato abbastanza convincente, con quel suo sguardo
fulminante e con quell’atteggiamento svincolante: non
voleva più saperne di quelle storie!. Già...e in fondo erano
i miei stessi ragionamenti: quelli che anch’io, spesso,
ragionando solo con l’evidenza dei fatti, condividevo
appieno; ma, alla fine, a vincere non era la ragione, ma la
decisione di portare avanti tutto, nonostante tutto.